to work or not to work

Undici anni fa facevo la prof alle superiori, mi piaceva lavorare con i ragazzi, tantissimo, sanno dare cosi' tanto - a modo loro, ovvio. 
Un giorno mi chiama un'Azienda offrendomi un lavoro, accetto, pensando che sarei tornata ad insegnare al primo figlio - non voglio fare un figlio per non vederlo mai, mi dicevo - e che se non facevo l'ingegnere a ventisei anni non l'avrei fatto piu' e che per fare l'insegnante potevo aspettare i cinquanta, insomma un sacco di buone motivazioni.
Poi e' successo che mi sono innamorata del lavoro che ho, che mi permette di stare tutto il giorno in mezzo a persone brillanti, a volte e' creativo a volte c'e' solo da mettere a posto casini, ma mi piace, mi piace la frenesia dei giorni prima di un lancio, l'attenzione dei giorni dopo, il caffe' alla macchinetta a parlare di filmlibriteatro, gli aperitivi per festeggiare i compleanni, la collega che il lunedi' mattina porta la torta, mi piace persino mettermi il tailleur ed essere carina - a scuola andavo con i jeans e gli anfibi. Insomma mi piace tutto del mio lavoro. 

Ma c'e' un ma, ve lo aspettavate, eh?

Adesso c'e' Cruscotto e io ogni giorno lo sto a guardare per ore sapendo che tra un mese e mezzo dovro' ricominciare a lavorare e mi perdero' tutte le piccole cose che fa ogni giorno, la pappa, tutti i giochi, i versi che fa ai gatti, anche il bagnetto la sera e sono cosi' triste.
Mi prende una cosa dentro qui sopra lo stomaco che non riesco a far sparire.

Perche' per fare bene un lavoro come il mio ci sono giorni in cui si lavora dodici ore al giorno, periodi in cui il telefono suona anche il sabato e la domenica ed il pc e' sempre acceso. Perche' non si puo' avere un lavoro gratificante ed avere un figlio? Non e' per i soldi a fine mese ne' per la carriera, no, e' avere un lavoro stimolante che mi fa sentire viva intellettualmente, che mi fa sentire in gamba. 
Come si fa? 
Sia chiaro, si puo', si puo' tutto, basta lasciare il pupo ai nonni o alla baby sitter ma ... come si fa?

E questa cosa allo stomaco che non se ne va...

4 commenti:

Ada ha detto...

Ti posso raccontare come ho fatto io: mi sono goduta il mio bambino full time fino al suo anno e mezzo e di conseguenza ho messo in secondo piano il lavoro stimolante e creativo. Poi lui è andato al nido per mezza giornata e io mi sono riavvicinata gradualmente al mio lavoro. Dopo ha iniziato l'asilo e a quel punto il tempo a disposizione per il lavoro è aumentato. Ma in ogni caso, anche adesso che lui ha 8 anni il lavoro rimane al secondo posto. No, non si può godersi entrambi: tempo per il figlio senza perdersi nulla e tempo per il lavoro senza limiti (12 ore al giorno ed extra). Purtroppo c'è sempre da fare una scelta. Per uno dei due si deve delegare o rimandare. Ma io non mi pento di nulla, per me era la scelta migliore.

Asile Day ha detto...

Se c'e' da fare una scelta continuero' a scegliere il mio piccolo.
E' infinitamente piu' importante e anche "soddisfacente"!
Grazie Ada.

Chiara Trabella ha detto...

Anch'io mi sentivo così quando sono tornata al lavoro dopo la mia prima maternità. Il mio consiglio è di non scegliere una sola persona (tipo babysitter) a cui affidare tuo figlio: la invidieresti, passeresti tutto il giorno a pensare "ma guarda 'sta stronza si gode mio figlio e la pago pure". A me questi pensieri sono scomparsi quando ho mandato Amelia al nido: di lei si occupavano tante persone, era in mezzo ai bambini, era in un ambiente stimolante... insomma, andava a fare qualcosa di diverso da quello che avrebbe fatto a casa con me, e questo mi ha dato una "ragione" per sentire meno dispiacere nel lasciarla. Infatti Amelia ha fatto un inserimento brevissimo, sentiva che io non volevo trattenerla e tuttora tutti ricordiamo il nido come un periodo molto bello (a parte il peso economico, che però ne è valsa la pena).

Asile Day ha detto...

Grazie mille Lanterna, non sai quanto mi fa bene leggere le esperienze altrui :)

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